La paura è un’emozione universale che ha radici profonde nell’esperienza umana. Da sempre, l’umanità ha dovuto confrontarsi con la paura, che ha agito da forza motrice nelle decisioni individuali e collettive.
Spesso vista come un’emozione negativa, la paura può tuttavia anche fungere da “collante”, unendo le persone in momenti di difficoltà, di incertezze o di crisi. Ma la paura, se non controllata, può anche generare poteri forti, che sfruttano le fragilità e le paure per consolidare il proprio controllo sulle masse.
Papa Francesco, nella sua enciclica Lumen fidei del 29 giugno 2013, ha riflettuto su come la paura, quando manca la fede, possa diventare un elemento che tiene unita la società, ma a un costo molto alto. In un passaggio particolarmente significativo, il Papa ha avvertito: “Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata.” Un messaggio che suona tanto come una riflessione sulle radici della coesione sociale, quanto un avvertimento sulle conseguenze di un’umanità che perde il contatto con il trascendente.
La paura, come sentimento collettivo, ha una straordinaria capacità di unire le persone in tempi di crisi. Quando l’incertezza minaccia le fondamenta della società, la paura diventa un motore di solidarietà forzata. La gente si raccoglie attorno a cause comuni, alle politiche di protezione, o si affida a chi promette di liberarli dal pericolo imminente. La paura di perdere il proprio benessere, la propria sicurezza o la propria identità è in grado di smuovere le masse in modi che la speranza o l’amore non possono fare.
In molteplici momenti della storia, le grandi crisi – guerre, pandemie, calamità naturali – hanno visto la paura come un filo invisibile che ha legato le persone. Le autorità politiche e religiose, i leader di ogni tempo, hanno capito che la paura, se incanalata correttamente, può essere uno strumento potente per mantenere l’ordine sociale e per mantenere il potere. Non a caso, in tempi di crisi, sono spesso i leader che incitano alla paura di “nemici esterni” o “minacce imminenti” a raccogliere più consenso popolare.
Ma la paura, come ogni potente strumento, ha il suo rovescio della medaglia. La coesione che genera può risultare superficiale e fragile. Quando le circostanze cambiano o la paura stessa si dissipa, ciò che resta è una società potenzialmente disgregata, senza legami genuini o fondati su valori comuni.
La paura, se sfruttata da poteri forti, può generare un circolo vizioso di manipolazione e controllo. I governi, le istituzioni finanziarie, i grandi conglomerati mediatici hanno spesso utilizzato la paura come strumento di persuasione, creando un ambiente in cui le persone si sentono vulnerabili e dipendenti. La paura di un futuro incerto, di una minaccia esterna, di una catastrofe imminente può spingere le persone ad accettare misure drastiche, come la rinuncia a diritti civili o la delega di poteri a chi promette di risolvere il problema.
Questo scenario è stato già osservato in molte fasi storiche: da dittature che alimentano il clima di paura per giustificare il controllo assoluto, a situazioni in cui le disuguaglianze sociali sono aumentate a dismisura sotto la scusa della protezione contro minacce esterne o interne. Le paure collettive, come quella del terrorismo, della criminalità, della recessione economica, vengono abilmente alimentate per orientare il consenso e mantenere l’ordine sociale sotto forme di controllo che favoriscono i poteri forti.
Papa Francesco, con le parole della Lumen fidei, ha messo in guardia su un aspetto fondamentale: la perdita della fede in Dio e nella trascendenza può portare a una società che si tiene unita solo attraverso la paura. La fede, secondo il Papa, non è solo un dono spirituale, ma anche un fattore che contribuisce a mantenere la fiducia reciproca tra le persone. Senza questa dimensione trascendente, la società rischia di ridursi a una collettività che si unisce solo attorno alla paura, senza un progetto comune basato su valori condivisi di solidarietà e speranza.
La fede in Dio, per il Papa, è essenziale perché funge da fondamento per costruire legami veri e solidi tra gli individui. In assenza di questa fede, la società potrebbe diventare una somma di individui che si temono l’un l’altro, uniti solo da una necessità di sopravvivenza comune, ma privi di una visione condivisa del bene e della giustizia. La fede in Dio, per il Pontefice, è un antidoto contro una visione miope della vita, che riduce la nostra esistenza a una serie di meccanismi di difesa contro il pericolo, senza più il desiderio di perseguire il bene comune.
Oggi, in un mondo caratterizzato da crisi globali, da disuguaglianze crescenti e da un’incertezza che riguarda il futuro del pianeta e dell’economia, il messaggio di Papa Francesco rimane terribilmente attuale. L’umanità si trova di fronte alla sfida di ricostruire una società che non si regga solo sulla paura, ma che possa essere sorretta da valori di fiducia reciproca, solidarietà e speranza. Solo in questo modo potremo evitare che la paura diventi il collante che ci tiene uniti, ma che allo stesso tempo rischia di portarci a una destabilizzazione delle nostre stesse fondamenta sociali e spirituali.
Il Papa, quindi, ci invita a guardare oltre la paura, a cercare la speranza che nasce dalla fede e dalla fiducia nei valori che ci legano, e a non lasciarci ingabbiare da un sistema che utilizza la paura come mezzo di controllo. La vera coesione sociale si costruisce non sulla paura, ma sulla fiducia reciproca, sull’amore e sulla fede in un bene più grande che può guidare l’umanità verso un futuro di pace e prosperità.