Opposizione in confusione mentale: il PD elogia un repubblichino pur di dare contro alla maggioranza
Nel caos mentale che regna ormai stabile nell’opposizione parlamentare, il Partito Democratico ha superato se stesso: per attaccare la maggioranza, è arrivato a rivalutare pubblicamente Mirko Tremaglia, storico esponente della destra sociale ed ex repubblichino, padre della legge sul voto agli italiani all’estero. Una figura che, fino a ieri, sarebbe stata usata come spauracchio dell’“Italia nera”. Ma oggi no. Oggi è diventato un esempio da seguire. Perché? Perché la maggioranza ha osato mettere un limite sensato alla trasmissione ereditaria della cittadinanza.
Il PD, pur di cavalcare lo sdegno di maniera, propone di estendere la cittadinanza a intere generazioni nate e cresciute altrove, magari senza parlare una parola di italiano e senza aver mai messo piede nel nostro Paese. Il tutto in nome di un’identità italica fantasmatica, evocata a giorni alterni: quando si tratta di argentini o brasiliani con un bisnonno italiano, l’identità è sacra; quando invece si parla di giovani nati a Roma da genitori stranieri, si invoca il “radicamento” e si scopre che la cittadinanza è un concetto relativo.
La verità è che questa posizione è, per usare un eufemismo, intellettualmente strumentale. L’elogio di Tremaglia, uomo coerente con un’idea di nazione incompatibile con la retorica antifascista, diventa grottesco se fatto da un partito che ha sempre combattuto ogni forma di appartenenza culturale stabile, in nome di un multiculturalismo fluido e confuso.
Ma il cortocircuito logico non si ferma qui: gli stessi che si scandalizzano per una “stretta” sulla cittadinanza iure sanguinis, sono quelli che si sono battuti per facilitare lo ius soli. Dunque: no al passaporto per chi nasce in Italia, sì per chi ha un trisavolo che ci ha lasciati prima che nascesse la televisione.
C’è un limite a tutto. Anche alla demagogia travestita da inclusione.
