Ci sono storie in grado di sfiorare le corde dell’anima e lasciare un segno indelebile in essa.
“Per ogni mia mezz’ora” di Luca Carozzi, edito da Bookabook è una di quelle che ci smuovono nel profondo perché affrontano tematiche che ci riguardano in prima persona come esseri umani, con le nostre passioni, gli ideali, i desideri e anche le nostre fragilità, contraddizioni e crepe.
Protagonista di questo romanzo breve che si legge tutto d’un fiato è Filippo, uno studente fuorisede a Trieste che si ritrova a vivere la propria vita con la sensazione che qualcosa tra mille impegni di studio e una routine ormai radicata gli stia sfuggendo di mano.
Un incontro dettato dal Destino con Rachele, un’operaia con una passione innata per il disegno lo sveglierà dal torpore e lo condurrà verso ciò che è in coerenza con il suo essere e i suoi ideali. La vita di Filippo cambierà radicalmente e ogni giorno dall’uscita del lavoro dedicherà una mezz’ora della sua vita per connettersi con quell’esistenza che sarebbe potuta concretizzarsi con Rachele.
“Per ogni mia mezz’ora” è una storia profonda ed emozionante che ci invita a rivalutare la lentezza e il silenzio come opportunità per connetterci con la parte più autentica del nostro essere, per risvegliare creatività e linfa vitale che ci consentono di diventare ciò che siamo veramente.
Il lettore seguirà le vicende narrate con partecipazione e interesse ed entrando in empatia con il protagonista Filippo. Una storia che ci fa intraprendere un viaggio nelle emozioni più vere e spesso contrastanti e che valorizza l’incontro con l’altro come occasione per rintracciare parti del nostro essere che necessitano di essere ascoltate, accettate e assecondate.
Di incontri che lasciano il segno, di lentezza e di Destino conversiamo piacevolmente con Luca Carozzi in questa intervista.
Luca, partiamo dall’origine, com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo breve?
Io sono un fisioterapista da 15 anni. Amo il mio lavoro e l’ho sempre amato. Il Covid ha cambiato per anni il nostro modo di vivere e, nel mio caso, molti aspetti e dinamiche del mio lavoro. Ho iniziato ad avvertire un senso di insofferenza, come un cerchio che si stringeva intorno a me con il passare del tempo. Quando al mattino ti alzi, ti guardi allo specchio e quello che vedi riflesso ti sembra molto meno di come ti senti, allora capisci che è necessario qualcosa di più. Un’evasione. Dare respiro e tempo alle passioni, alle proprie inclinazioni. Avevo in passato provato a cimentarmi con la scrittura, ma forse non avevo abbastanza contenuti e vita da raccontare o mancava quella scintilla e tutto mi pareva una splendida vanità. Poi si è trasformata in una necessità e tutto è cominciato conoscendo una persona interessante a lavoro. Persona che ringrazio per aver condiviso tempo e discorsi interessanti riguardanti quello che è un tema importante poi sviluppato nella narrazione. Nella vita andiamo sempre troppo di fretta, abbiamo obiettivi e scadenze da rispettare e spesso ci dimentichiamo che esistono cose che sono importanti non perché “necessarie”, ma perché semplicemente ci fanno sentire bene.
Per ogni mia mezz’ora affronta la tematica di quegli incontri che lasciano un segno memorabile nel proprio percorso di crescita. Come li definiresti?
In un mondo così veloce come il nostro, dove i flussi e i movimenti sono all’ordine del giorno, paradossalmente dovremmo essere ricchissimi di amicizie, legami e connessioni. In realtà ho la sensazione che stiamo diventando sempre più poveri. Una “povertà relazione collettiva” dovuta alla sempre più ingombrante presenza della tecnologia, degli smartphones e della rete web. Per fortuna esistono ancora quegli incontri in grado di cambiarti la vita e donare quelle emozioni di cui ci stiamo dimenticando. Io li definisco incroci. Due rette che per qualche motivo (chiamiamolo destino) si intersecano e non possono da lì in poi fare a meno di restare vicine. L’incrocio di due anime come Filippo e Rachele è un esempio di trasfigurazione letteraria di quegli incontri che, per fortuna, succedono ancora nella vita reale di tutti i giorni.
L’Incontro tra Filippo e Rachele sembra dettato dal Destino. Ci credi nel suo potere e che ruolo ha nell’esistenza di ognuno di noi secondo te?
Assolutamente sì, credo nel destino e nel suo potere. Da uomo “scientifico”, con il lavoro che svolgo e i miei percorsi di studio, non riesco a concepire una questione di fede come il motore di ogni cosa. Lascio ovviamente ad ognuno la libertà di credere a qualsiasi Dio possibile. Il libero arbitrio è una condizione umana indispensabile. Però personalmente credo che nulla accada per caso. Il mondo è nato dal caos originario; un insieme di particelle che con il loro movimento casuale si sono avvicinate e hanno dato origine alla vita mi fa riflettere che anche nel caos ci sia sempre stato un disegno. E quello che succede non è frutto del solo volere di un Dio, ma è un insieme di condizioni connesse e sinergiche. Siamo noi, con il nostro porci come individui nel mondo e nella società, che ci predisponiamo agli eventi. In qualche modo li attiriamo. Destino, individuo, caso, fortuna, probabilità. Fanno tutte parte del disegno di costruzione di quello che siamo e di quello che diventeremo.
Filippo ogni mezz’ora intraprende un viaggio mentale che lo conduce verso quell’esistenza che sarebbe potuta essere con Rachele. Quanto è importante per noi concedersi una mezz’ora di silenzio per sé stessi?
Non mi sento di parlare a nome di tutti, ma nella mia esperienza essermi ritagliato un lasso di tempo per me stesso, per rallentare e ascoltarmi, è stato veramente importante. Terapeutico. La scrittura ha rappresentato un meraviglioso percorso di crescita. Mentre scrivevo la mia storia mi “svuotava” di ansie e di una sensazione di inquietudine che mi accompagnava da tempo. Se da un lato ho fatto spazio dentro di me, dall’altra si è creato spazio per qualcosa di positivo. Nuova fiducia in sé stessi, stimoli differenti, mettersi in gioco e vincere il muro della timidezza attraverso la finzione letteraria. Parlare di sé, scrivendo d’altro. Sono molto diverso da quello che ero un anno e mezzo fa e tutto questo lo devo alla mia mezz’ora di silenzio.
Un interrogativo che la tua storia solleva è: “è più facile vivere di rimorsi o di rimpianti?”. Tu cosa risponderesti?
È più facile vivere con i rimorsi e le conseguenze che i fatti hanno portato. Almeno nel momento in cui gli eventi non erano ancora rimorsi e non si erano caricati di significati negativi, chi li stava vivendo stava affrontando una propria scelta. Voluta, giusta o sbagliata che si rivelerà. Non scegliere equivale sempre ad una rinuncia; l’immobilismo, il poco coraggio non possono mai portare ad una crescita personale. E poi se rifletto sulla mia condotta… i rimpianti che ho tornano sempre alla mente. I rimorsi li attenua il tempo.
Il tuo romanzo è ambientato nella città di Trieste, che legame hai con essa?
Quando ho pensato a che città sarebbe stata quella giusta dove ambientare la storia d’amore tra Filippo e Rachele, ho scelto Trieste per due motivi. Il primo è semplice; ero alla ricerca di una città “nordica” ma italiana, che regalasse un senso di freddezza climatica a fare da contenitore alla vicenda calda e passionale dei due protagonisti. Secondo motivo, ho avuto la fortuna in passato di visitare molti luoghi per turismo e avevo bisogno di una città dove non fossi mai stato, in modo da non essere condizionato dai ricordi e dal mio vissuto. L’obiettivo era sempre il medesimo: rendere il contenitore il più asettico e anaffettivo possibile, per esaltare il sentimento, il vero protagonista del mio romanzo.
Per te cosa significa “mettere nero” su bianco le tue storie?
Significa cercare di comunicare ad altri quello che provo e farlo in un modo più semplice ed efficacie rispetto alla trasmissione orale. Per carattere sono una persona chiusa e riservata, mi sento molto più a mio agio a scrivere qualcosa “di difficile” che ad aprirmi di persona. La scrittura è stata una terapia e un modo di mettermi in gioco, dove mi sono sentito per la prima volta padrone dei propri mezzi.
A chi consigli la lettura di “Per ogni mia mezz’ora”?
Non sono un amante delle etichette o dei generi; preferisco immaginare il mio romanzo come un qualcosa di più fluido e dinamico, in grado di raggiungere diverse tipologie di lettori. In ogni caso il mio lettore ideale credo potrebbe essere qualsiasi persona che sta attraversando un periodo simile a quello che ho passato io. Un individuo che si sente in qualche modo costretto in una situazione che non sente più sua, che non sa come uscire dal suo immobilismo, che crede nelle proprie qualità ma ha la sensazione che esse non vengano percepite all’esterno nel modo corretto. La mia storia parla di volontà e tenacia e l’esperienza che ho vissuto in tutto questo sorprendente viaggio, rafforza i concetti che ho provato a riversare ed infondere tra le pagine del mio romanzo.
Stai già pensando a scrivere una nuova storia? Progetti futuri…
Appena terminato la fase di editing di “Per ogni mia mezz’ora” ho sentito subito l’esigenza di scrivere ancora. Non posso svelare di più perché tutto è in fase embrionale, ma posso dire che c’è una nuova storia che è stata scritta e che è nel cassetto. Devo solo capire quando posso considerarla davvero pronta per essere ascoltata da qualcuno. In ogni caso mi sento di dire che la vera natura del legame tra Filippo e Rachele ha ancora molto da raccontare e probabilmente sentiremo nuovamente parlare di loro.
Su You Tube il booktrailer del romanzo realizzato da Valerio Marcozzi, Visual Communication
https://www.youtube.com/watch?v=1V36CbUYjlE